La maschera e il volto. Orazio, ars 86 ss.
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Una rilettura della pagina di Orazio, ars 86-118, condotta con l'ausilio di passi di Aristotele (rhet. 3, 7, 1408a, 10 ss.; poet. 1455a, 30 ss.) e di Cicerone (de orat. 2, 185 ss.), induce a ridimensionare l'esegesi proposta da Florence Dupont all'interno di una sua recente valutazione del ruolo dell'attore (in particolare tragico) nel teatro romano. L'attore 'oraziano' non è un "epiteto", una immagine fissa sprovvista di carattere, una maschera senza volto; al contrario è un vultus che ha sembianze e sensi umani, in virtù dei quali soltanto può scattare la sympatheia degli spettatori e l'autore, conseguentemente, può esercitare la sua azione psicagogica.
Anche per questi aspetti l’Ars non rispecchia una situazione di fatto del teatro romano, bensì propone un modello di teatro non ancora realizzato a Roma, portando avanti la battaglia che Orazio ha da sempre condotto contro la rozzezza e l’improvvisazione, contro la amoralità di una letteratura disancorata dall’impegno etico e civile come dalle norme del decorum e della coerenza artistica.
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