Il Dialogus de oratoribus e il teatro
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Il Dialogus tacitiano, ambientato dall’anno 75 e redatto post 102, dopo aver postao all’inizio il problema de causis corruptae eloquentiae, nel teso dibattito che tutto quanto lo attraversa, sembra spostare il discorso sul ‘contrasto’ fra due generi di comunicazione: l’oratoria forense, difesa con durezza da Marco Apro e la poesia tragica alla quale, dopo i successi riportati come oratore, si è rivolto Curiazio Materno che sceglie come protagonisti personaggi che abitano la tradizione del mito greco e la ‘grande storia’ romana di recentissima memoria: Catone Uticense, Domizio, portatori di un messaggio anticesariano ed antitirannico: il serrato dibattito non determina alcuna divagazione rispetto allo Hauptthema: Materno smaschera nell’acceso modernismo di Apro i segni più gravi e drammatici di un’eloquenza non tanto formalmente ‘decaduta’ quanto politicamente degenerata a strumento guidato dal potere, un tipo di eloquenza che nutre i delatores e li costituisce nella posizione non di uomini liberi e potenti, ma quasi di prepotenti liberti. Sdegnato di questa cinica modernità, Materno non può comunque idealizzare la grande eloquenza degli ultimi decenni della res publica, troppo spesso fautrice di sovversioni e discordie. A contrasto, Materno tesse quasi un elogio dell’attuale quiete di regime, con un tono, però, di ironia che, malgrado alcune superficiali coincidenze, lo mantiene lontanissimo dalle posizioni di Apro. Critico ammirato, ma severo, dell’eloquenza repubblicana, durissimo oppositore di quella ‘moderna’, Apro ha disertato quasi in toto dall’oratoria forense, ha scelto una forma più alta e severa di eloquentia, secondo il recente esempio di Seneca, e da esssa si attende una gloria futura, non di oratore, ma di poeta.
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